Sul fenomeno

Gli antichi greci chiamavano fainòmenon, fenomeno, tutto quanto in natura si può percepire attraverso i sensi. Il termine deriva dal verbo faìnomai, che significa mostrarsi, apparire, sembrare. In senso lato e nell’accezione comune, “fenomeno” è anche qualcosa che sta al di fuori dell’ordinario, un evento o un oggetto in qualche modo speciale.

Quattro giovani artisti, Gabriele Brucceri, Pier Giacomo Galuppo, Giacomo Modolo, Jacopo Pagin, interpretano visivamente questo aspetto, potremmo dire semantico, del fenomeno: sia in senso proprio che traslato: la loro pittura rappresenta infatti oggetti e persone reali, concrete, che appartengono cioè ad un vissuto che ci è noto e familiare; ma, nello stesso tempo, contiene numerosi elementi dissociativi, sconnessi in sostanza da quella che definiamo una realtà “normale” o meglio, comune.

Gabriele Brucceri (1982), diplomato all’Accademia di Bologna, nelle sue tavole cromaticamente variegate riesce a sfaldare le figure quasi facendole esplodere nella loro realtà germinale, con tecniche che utilizzano di preferenza l’acquerello, anche interpolato alla fotografia digitale ed altri medium. Il risultato è una certezza visiva che si trasforma, perdendo volume, massa e costrutto, in una sorta di sequenza processuale e che denuncia quanto ciò che appare possa assumere forme diverse e inattese. La storia delle arti si riflette sull’acqua mossa di un lago in cui Davide e Golia di Caravaggio si frantumano tra le ninfee di Monet. Come scrive Roberto Mastroianni, Brucceri è “un artista che usa la pittura per riflettere sulla pittura stessa”. Immagini piene di una inquietante ambiguità sono anche quelle presenti in mostra: InnestoPossessoIl nascondiglio perfettoNel limbo. Ciò che vi accade non è certo, ciò che appare può non essere ciò che si vede e la percezione disperante gioca con l’occhio di chi guarda, senza dare appiglio né memoria, in un progetto “escheriano” dove distorsioni, sovrapposizioni e velature costruiscono versioni fuorvianti e paradossali della realtà. Eppure la realtà è, indubbiamente, il dominante, irrinunciabile e programmatico punto di partenza, ciò da cui tutto ha origine, anche (soprattutto) l’immaginazione. Del resto, da Aristotele a S. Agostino, esiste un pensiero molto condiviso che nulla esista nella mente che non sia prima percepito dai sensi.
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Il nascondiglio perfetto

Nel limbo 2

Pier Giacomo Galuppo (1985), diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia e specializzato in litografia e calcografia, spesso si trova a ri-raccontare la storia della pittura dell’Ottocento italiano secondo una sua personalissima interpretazione.
Riconsidera con grande originalità specialmente Fattori, di cui è ammiratore, non tanto sotto il profilo tecnico quanto piuttosto relativamente ad una delle tematiche tipiche del pittore toscano: con alcuni soggetti in gruppo o con singoli busti-ritratto in cui l’elemento militaresco è un’evidenza subito dirottata da un pensiero ironico che è anche prodromo di un tema allegorico caro al Seicento, quello della “Vanitas”. Si tratta di una riflessione – elaborata anche in varie forme dalla figuratività contemporanea – relativa alla fragilità dell’esistenza e, forse, all’irrilevanza di alcuni valori cui la società dedica tributi. Tale messaggio è particolarmente evidente in una serie di 12 piccole tele dal titolo Presa di coscienza, in cui viene narrato il percorso di un individuo nel suo processo di crescita e di acquisizione consapevole di sé e del mondo, alla fine della quale mette il punto un teschio rimpannucciato nella divisa di soldato, in attesa di una resurrezione. I gruppi, ad esempio E tutti quei momenti andranno perduti, organizzati nelle pose convenzionali delle foto ricordo, solo a volte fissano situazioni precise, come accade in Case d’Avanzo. Anche i volti sono talora scarsamente definiti o, al contrario, fortemente caratterizzati con i tratti fisionomici precisi, simili alle maschere del teatro kabuki o di quello greco classico, in cui ad ogni tipo fisico corrisponde un ruolo.
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Presa di coscienza

 Case d’Avanzo

Giacomo Modolo (1988), diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove ha anche svolto per un anno attività di tutor presso il laboratorio di calcografia, è da sempre anche grande appassionato del mondo underground che tuttora lo coinvolge come musicista in diverse formazioni. La musica fa parte di quella non-regola che, con una “continua rigenerazione, evoluzione e rivoluzione”, lo induce ad affidarsi al “gesto che porta a soluzioni affini al suo immaginario” e che in pittura è rappresentato da “un susseguirsi di eventi, di azioni che traggano ispirazione da particolari naturalistici che si realizzano poi in paesaggi, talvolta in ritratti.”
Alla primavera 2016 risale un murales dipinto al Parco della Solidarietà di Marano (VI), ispirato a quello stesso mondo vegetale e animale che emerge nelle sue altre opere, assieme a figure umane che paiono interpolazioni suggestive di biologie varie, come “un insetto o la corteccia di un ceppo”, e che possono dare origine al soggetto del quadro.
Tre opere in mostra – Ali caduteDefault e Il destino del profeta – ne sono un esempio. In esse l’immaginazione senza tempo e l’evento oggettivo, l’accadimento, si incrociano e si fondono in un’unica forma e in un territorio che diviene luogo d’incontro storico del gesto pittorico. Attualmente il suo lavoro è rappresentato da Crag Gallery di Torino.
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Ali cadute

Default (su mío nonno)

Jacopo Pagin (1988), diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia interessato a tutte le tecniche, sperimenta una vasta gamma di materiali: da quelli classici della pittura nei suoi più vari impieghi, come l’olio su tela; all’inchiostro nero utilizzato con la tecnica del monotipo; ai collage con carta ed altri materiali come sabbia, foglie d’oro e varie applicazioni; al dripping; alle macchie di vernice. Tecniche che spesso si avvalgono anche di materiali industriali – magneti, linoleum, pvc, nylon, latta – oltre che di oggetti prelevati dalla natura, accentuando il senso di visionarietà contemporanea che caratterizza i lavori dell’artista. Il sincretismo teorico, che accoglie tematiche surrealiste giustapposte a deformazioni espressioniste, non si perita di sposare anche pop e digitale, in una complessità che rende la produzione di Pagin figlia del suo tempo, mentre i temi spaziano dai miti classici alle culture etniche. Le tele – Soft SadoTotem 2Totem 3 – appartengono a una serie che fa riferimento al totem, oggetto verticale primitivo che assembla teste di animali, specialmente tipico della cultualità algonchina, con funzione sacra e apotropaica e segno di appartenenza ad un clan. In questi lavori, la forma totemica è costituita da una pila di “reperti” di diversa origine culturale e temporale, apparentemente leggibili ma in realtà inaccessibili nel loro valore simbolico.
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Totem 3

Soft Sado

Giovanna Grossato
Curatore