E’ nato nel 1952 a Milano, dove vive e lavora.
Il pensiero si accartoccia sulla metropoli americana addolcita dalla fantasia di Damioli, che inventa prati smisurati a ridosso dei pachidermi architettonici di una città sviluppata nel senso verticale. Un foga nella iperdefinizione figurale che consegna la pittura a una zona intensa di silenzio, come preludio di un fatto che sta per accadere. L’artista trasforma la “Grande mela” in un’oasi di silenzio dove l’individuo conta per quello che è, nella sua soggettivià riconoscibile, e anzi può permettersi di apparire felice e assorto. E l’arbitrio creativo di Damioli (esplicito nella relazione diretta Venezia-New York) si protende nell’apertura d’uno squarcio cittadino come un’immensa quinta, di fronte alla quale si consuma il rito di una quotidianità pacata e serena, dove è ancora possibile ascoltare il battito del tempo e lo scorrere delle stagioni senza l’assillo di una velocità onnivora. E allora gli specchi d’acqua solcati da imbarcazioni sospinte dalla volontà di assaporare a pieno il fascino delle forme di edifici , addensati in uno spazio che reclama lo slancio verso il cielo, spazi verdi dove persone paiono perdere da un momento all’altro il loro tratto anonimo per assumere fisionomie note. Utopie di un visionario, rese credibili proprio dal potere disvelante dell’arte? sogni di un illuso impegnato a fuggire le strettoie del quotidiano? combinazioni della fantasia con una volontà di modificare l’esistente? E’ difficile dirlo; è più facile qualificare Damioli per un artista che celebra l’inattualità di una pittura a prima vista innestata nei canoni della classicità, ma aderente invece a una sensibilità compositiva di sicura ascendenza contemporanea.